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Il Viandante - Catullo

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Gaio Valerio CATULLO

(n. Sirmione, Verona, I sec. a.C.)
[Secondo San Girolamo (che ricava le notizie da Svetonio) 87 a.C.- 57 a.C., a trent'anni. Presupponendo abbia confuso il quarto consolato di Lucio Cornellio Cinna col primo, i dati anagrafici corretti sarebbero 84 a.C.-54 a.C..]

nato nella villa, posseduta dal padre (ricco patrizio veronese), sulle rive del Lago di Garda, è il maggiore e il più originale dei "poeti nuovi";

62-61 a.C.
nella casa del padre, dove spesso sono ospiti i magistrati romani che nei loro viaggi passano in zona, conosce Clodia moglie del proconsole per il territorio cisalpino Quinto Cecilio Metello Celere, della quale s'innamora perdutamente;
[Passione per Lesbia, pseudonimo della seconda delle tre Clodie, sorelle al tribuno Publio Clodio Pulcro (nemico di Cicerone), che fu moglie di Quinto Cecilio Metello Celere, pretore nel 63, console nel 60 e morto nel 59 a.C..]

57 a.C.
accompagna il pretore Gaio Memmio in Bitinia dove entra in contatto con l'ambiente intellettuale dei paesi d'Oriente;
[Gaio Memmio: questore di Pompeo nella guerra sertoriana, pretore nel 59 e propretore in Bitinia nel 60, epicureo.]

55 a.C.
avviene la rottura definitiva con Lesbia;

54 a.C.
a trent'anni muore.

- Liber (Raccolta di 116 carmi, ordinata secondo criteri metrici:
- 1-60, epigrammi polimetrici

I) Dedica a Cornelio Nepote, endecasillabi falèci (dal poeta alessandrino Falèco)
II) Il passero di Lesbia, end. fal.
III) La morte del passero di Lesbia, end. fal.
IV) Giovinezza e vecchiaia d'un battello (tartana), trimetri giambici puri
V) Godiamoci la vita, end. fal.
VI) a Lesbia
VII) a Lesbia
VIII) Contraddizioni di innamorato, trimetri giambici, scazonti o ipponattèi o coliambi
IX) In seguito al ritorno dell'amico Veranio, end. fal.
X) Per la morte di Varo (Alfeno o Quintilio), end. fal.
XI) Rottura definitiva con Lesbia, strofe saffica minore
XII) Contro Asinio Marrucino, end. fal.
XIII) Invito a cena di Fabullo, end. fal.
XIV) Risposta al dono di Gaio Licinio Calvo, end. fal.
XIVa) Un secondo proemio al lettore, end. fal.
XV)
XVI)
XVII) Ad un conterraneo, versi priapei
XVIII)
XIX)
XX)
XXI)
XXII) Caricatura del poetastro Suffeno, trim. giamb., scaz. o ippon. o col.
XXIII)
XXIV) A Giovenzio (Thalna?), end. fal.
XXV)
XXVI) Sulla povertà di Furio (opposte interpretazioni), end. fal.
XXVII) Carme conviviale, end. fal.
XXVIII)
XXIX)
XXX)  Contro Alfeno Varo, asclepiadeo maggiore
XXXI) Dopo il ritorno a Sirmione da Bitinia, trim. giamb., scaz. o ippon. o col.
XXXIV) A Diana, strofe di  tre gliconei  e un ferecrateo
XXXV) A Cecilio, end. fal.
XXXVI) Riconciliazione con Lesbia, end. fal.
XXXVII)
XXXVIII) Invocazione all'amico Cornificio, end. fal.
XXXIX) A Egnazio, rim. giamb., scaz. o ippon. o col.
XL) Commiserazione per Ravido (rivale in amore per Lesbia), end. fal.
XLI)
XLII) a Lesbia (forse), end. fal.
XLIII) Questione di buon gusto, end. fal.
XLIV) Ringraziamento alla sua villa, in trim. giamb., scaz. o ippon. o col. 
XLV) Scena d'amore, end. fal.
XLVI) Canto della primavera, end. fal.
XLVII)
XLVIII) A Giovenzio, end. fal.
XLIX) Ringraziamento a Cicerone, end. fal.
L) Tenerezza per C. Licinio Calvo, end. fal.
LI) Turbamento per Lesbia, strofe saffica minore
LII) Scoramento per l'assoluzione di Vatinio, trim. giamb. archilochei
LIII) Ammirazione per Calvo, end. fal.
LV) Ricerche di Camerio, end. fal.
LVI) 
LVII)
LVIII) Sfogo per l'amore tradito, end. fal.
LIX)
LX) Invocazione, trim. giamb., scaz.o ippon. o col.

- 61-68, carmina docta

LXI) Per le nozze di Manlio Torquato e Iunia (Vinia) Aurunculeia, non un epitalamio ma un epillio, esametri dattilici
LXII) Inno amebeo a Imene, es. datt. (dal manoscritto del De Thou)
LXIII) Attis catulliano (strana evocazione dei riti dedicati alla dea Cibele), es. datt.
LXIV) Per le nozze di Peleo e Teti [Epitalamio di Pèleo e Tètide],  non un epitalamio ma un epillio, es. datt.
LXV) Epistola a Q. Ortensio Ortalo, distici elegiaci
LXVI) Chioma di Berenice, dist. eleg.
LXVII)
LXVIII a/b) Ad un amico, dist. eleg.


- 69-116, in distici elegiaci
(esametro dattilico in unione al pentametro dattilico)

LXX) Giuramento di donna
LXXI) a Lesbia
LXXII) c.s.
LXXIII) Indignato per la perfidia di un amico
LXXIV)
LXXV) a Lesbia
LXXVI) Invocazione agli dei
LXXVII) Per il tradimento dell'amico Rufo
LXXVIII)
LXXIX)
LXXX)
LXXXI) Ad un pesarese, a noi ignoto
LXXXII) A Quinzio, rivale di C. 
LXXXIII) Collera, prova d'amore
LXXXIV) Contro Arrio
LXXXV) Amore per Lesbia esasperato dalla gelosia
LXXXVI) Bella, ma senza grazia
LXXXVII) Amore per Lesbia non ricambiato
LXXXVIII)
LXXXIX)
XC)
XCI)
XCII) Primi bisticci amorosi con Lesbia
XCIII) Contro Cesare
XCIV)
XCV) In onore al poemetto Zmyrna di Elvio Cinna
XCVI) Elogio alla raccolta di elegie di Licinio Calvo
XCVII)
XCVIII)
IC)
C)
CI) Onoranze al fratello morto nella Troade
CII) Contro Cominio
CIII) Dilemma ad un lenone
CIV) a Lesbia
CV) Contro Mamurra
CVI)
CVII) Riconciliazione con Lesbia
CVIII) Sui fratelli Comini da Spoleto
CIX) Riconciliazione con Lesbia
CX)
CXI)
CXII)
CXIII) 
CXIV) Sulle proprietà di Mentula
CXV) 
CXVI) A Gellio
____________________________

Il primo vago accenno all'esistenza delle poesie di Catullo lo troviamo in Isidoro di Siviglia, morto nel 636.
Poi per circa tre secoli, silenzio.
Finché nel 965 il vescovo veronese Raterio nominò il codice in un discorso affermando che «egli poteva leggere Catullo, prima mai letto da altri
». Dunque nel X secolo il codice era a Verona. In seguito lo stesso Raterio se lo portò con sé in Belgio.
Da qui il codice tornò molto più tardi, all'inizio del secolo XIV, riprodotto da un copista veronese, certo Francesco, secondo che ci attesta un'interessante subscriptio d'un tal Benvenuto Campesano da Vicenza: subscriptio rintracciata in fondo al codice Parigino 14137 che appartiene all'anno 1375, cioè ad un'età abbastanza posteriore alla morte dello stesso Benvenuto Campesano, avvenuta nel 1323. L'esastico in parola, di non facile interpretazione, parla della scoperta del codice come di una "resurrezione" di Catullo il cui papiro «era rimasto così a lungo chiuso sotto il moggio». Nel secolo XIV varie persone dovettero possedere quel manoscritto che per noi è perduto. Infatti a noi sono giunti, come più antichi, i seguenti:

CODICI:
O=Oxoniensis Bodleianus del sec. XIV (di origine italiana, oggi a Oxford);
G=Sangermanensis o Parisinus, fine sec. XIV (esso è compreso tra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Parigi, n. 14137, già appartenuti all'abate di Saint-Germain-des-Prés; copiato in Italia nel 1375);
M=Marcianus del 1400 (compilato in scrittura "umanistica", fu collazionato nel 1888 da K.P. Schulze);
D=Datanus, del 1463 (oggi a Berlino; da Carlo Dati (1619-1675) che ne fu possessore; poi divenuto proprietà di Laurent Santen (codice Santen 37); molto apprezzato dal filologo Lachmann);
R=Romanus o Ottobonianus, del sec. XIV-XV (oggi nella Biblioteca Vaticana; scoperto e studiato nel 1896 dall'americano G. Gardner Hale che gli attribuì eccessiva autorità);
T=Thuaneus, del sec. IX (oggi nella Biblioteca di Parigi, n. 8071; da J. A. de Thou. E' un florilegio contenente di Catullo solo il c. 62).
Br=Brixianus del sec. XV.
B=Bononiensis (dell'Università di Bologna);
La1=Laurentianus I (della Biblioteca Medicea di Firenze);
ecc.: in tutto circa settanta codici.

EDIZIONI:
editio princeps, Ferrara, 1470, curata da Guarino Veronese;
Venezia, 1472; (forse questa la princeps)
Parma, 1473;
Vicenza, 1481, curata da Calpurnio;
Venezia, (aldine) 1502 e 1515, curate da H. Avantius;
Venezia, 1566, curata da Achille Stazio;
ecc.

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L'importanza che nella storia del testo di uno scrittore classico può assumere un'edizione antica, è notevole. Se essa è antichissima è plausibilmente desunta da un solo manoscritto, allora può fare le veci di questo; se invece è più recente, allora interessa perché l'editore o il curatore ha in essa applicato il metodo della filologia, consistente soprattutto nella recensio (raccolta del materiale) e nella emendatio (restituzione del testo allo stato genuino). Naturalmente, in questo secondo caso l'edizione per noi è tanto importante, quanto più acuta, felice e severa è stata l'opera del curatore.

Su tutti i codici dell'età umanistica grava un pregiudizio notevole ch'essi siano stati molto spesso interpolati, senza scrupoli da copisti eruditi, così come ebbe ad affermare il filologo Lachmann che li respinse in blocco foggiando per essi il titolo di manoscritti recentiores o deteriores.
Oggi il pregiudizio non esiste più, sebbene permanga in certi casi il sospetto legittimo.
La prima scrittura i Romani la facevano su tavolette spalmate di cera (ceratae tabellae), su cui si incideva con lo stilo (stilus), che aveva una estremità appuntita e l'altra appiattita a mo' di spatola per cancellare e ridistendere la cera (di qui: stilum vertere "cancellare", "correggere"). Le tavolette erano riunite in dittici o trittici le cui due facce esterne non venivano spalmate di cera. Se le tavolette erano piccolissime si chiamavano pugillares (o pugillaria) perché si potevano portare addosso per ogni evenienza (così pure i codicilli), L'opera vera e propria si trascriveva sui papiri o sulle pergamene.
I fogli papiracei (chartae) avvoltolati, formavano il volumen. La scrittura veniva disposta in colonne chiamate paginae: la prima colonna che si componeva era quella all'estrema destra del rotolo; l'estremità di sinistra veniva fissata ad un bastoncino chiamato umbilicus di legno o avorio. Le frontes, od orli del volumen, erano opportunamente levigate con la pomice. Il titulus dell'opera veniva scritto su un pezzettino di papiro (o di pergamena) chiamato index. Per ordinare meglio la scrittura, spesso i copisti rigavano le paginae con una puntina di piombo. Data l'enorme difficoltà di procurarsi carta papiracea, essa veniva raschiata e sfruttata due volte (palimpseston). Il volumen compilato veniva chiuso in una custodia (paenula). I vari rotoli venivano poi sistemati negli scaffali (scrinia). Per una più sicura difesa potevano essere racchiusi in una capsa, generalmente cilindrica, fornita di due cinghie le quali servivano allo schiavo capsarius per appenderla al braccio o al collo.

 

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