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Militari francese - VANDEA_genocidio

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Il dibattito sull'ipotesi di genocidio [Wikipédia]


Numero delle vittime
La valutazione esatta delle vittime della guerra di Vandea è sempre stata piuttosto complicata e non si è mai potuta stabilire con certezza. All'epoca, da quello che emerse dalle parole degli storiografi del tempo o dagli stessi protagonisti della guerra, spesso si tentò di fornire un numero, ma sempre in modo piuttosto approssimativo.

Nel 1796, il gen. L.-L. Hoche, considerando tutto il Nord-Ovest (quindi non solo i vandeani ma anche i chouan), ha stimato il numero di morti a 380.000. In una lettera datata 2 febbraio 1796 inviata a Pierre Bénézech, ministro dell'Interno, ritiene che "seicentomila francesi siano morti in Vandea" (compresi i morti repubblicani).

Nel 1797, lo storico Louis Marie Prudhomme, nel suo "Histoire générale et impartiale des erreurs, des fautes et des crimes commis pendant la Révolution Française" stima 120.000 persone morte in Vandea.

Secondo l'analisi statistica di Donald Greer del 1935, su 35-40.000 persone giustiziate in tutta la Francia durante il periodo del terrore (di cui 16.594 condannati a morte dai tribunali rivoluzionari), il 75% è costituito da ribelli presi con le armi in mano, di questi, il 52% venivano dall'Ovest (quindi vandeani e chouan), il 19% dal Sud-Est e il 16% da Parigi. Questa stima, considerata come riferimento, è stata ripresa da tutti gli storici successivi. Queste cifre comprendono però solo le esecuzioni e non tengono conto delle morti legate alla guerra civile, direttamente (battaglie, massacri) o indirettamente (epidemie, malnutrizione).

Nel 1986, Reynald Secher ha analizzato gli archivi parrocchiali e quelli di stato di 700 comuni dei quattro dipartimenti della "Vandea Militare": nel periodo compreso tra il 1780 e il 1789 e quello compreso tra il 1802 e il 1811, considerando la crescita demografica, ha preso il numero di abitanti della regione prima e dopo la guerra di Vandea e sottraendo la popolazione totale degli anni del 1800 con quella degli anni del 1780 risultò la mancanza di 117.257 persone su un totale di 815.029, cioè il 14,38% della popolazione e dal punto di vista immobiliare ha stimato la distruzione di 10.309 edifici su un totale di 53.273, cioè il 20% degli immobili registrati.

Un altro storico nel 1987, Jean-Clément Martin ha fatto una sua stima: basandosi su un'analisi dei censimenti del 1790 e del 1801, stimando la crescita demografica annuale attorno all'1%, nel 1801 mancavano da 200.000 a 250.000 persone, sia vandeani che repubblicani, particolarmente difficile è stato però calcolare il numero di questi ultimi che essendo militari provenivano da tutte le regioni francesi. Un'altra stima fatta utilizzando lo stesso metodo di Jean-Clément Martin, è stata fornita da Louis Marie Clénet, secondo il quale le guerre di Vandea hanno fatto 200.000 morti vandeani, di cui 40.000 sono morti a causa delle colonne infernali del gen. L.-M. Turreau.

Nel 2005 Anne Bernet stimò 150.000 morti per i vandeani e 150.000 per l'esercito repubblicano precisando però che è impossibile fornire una stima affidabile a causa della quasi assenza di fonti affidabili, visto che molti archivi erano stati bruciati durante la guerra. Nel 2007 Jacques Hussenet tenendo conto dei lavori precedenti, fornisce una stima di 170.000 morti.

La tesi di F.-N. Babeuf: il "populicidio"

La tesi del genocidio, così come il termine stesso, risale al XX secolo, tuttavia, nonostante questo concetto fosse piuttosto estraneo alla mentalità dell'epoca, nel 1794 un cronista del tempo, F.-N. Babeuf [Gracchus], pubblicò un libro dal titolo: "Du système de dépopulation ou La vie et les crimes de Carrier" (in italiano, "Il sistema di spopolamento e i crimini di Carrier), nel quale riporta alcune vicende della guerra e gli atti dell'intero processo di Carrier. Nel libro conia un neologismo, che oggi si potrebbe considerare un sinonimo di genocidio, ovvero "populicidio". La differenza con il termine "genocidio", coniato da Lemkin nel 1944, sta solamente nell'etimologia: in quanto "genocidio" deriva dal greco "ghénos" (razza, stirpe) e dal latino "cædo" (uccidere), mentre "populicidio" deriva del latino "populus" (popolo).

Nel suo libro, F.-N. Babeuf, si scagliò duramente contro la "convenzione termidoriana", che riteneva colpevole del terrore e del "populicidio". F.-N. Babeuf infatti non fu un controrivoluzionario, ma anzi aderì con entusiasmo alla rivoluzione e pensava che uno stato repubblicano non avrebbe mai potuto sterminare una parte della sua popolazione, anche perché riteneva che quei cambiamenti che stavano mutando la società francese sarebbero dovuti avvenire in modo progressivo e senza l'uso della violenza. Per questo motivo, decise di testimoniare quanto avvenne in tempi molto brevi, tanto che scrisse questo libro in appena due mesi (venne pubblicato nell'inverno 1794). Scelse, quindi, di riportare il primo avvenimento che diede inizio al populicidio, cioè il processo di Carrier che si svolse nel periodo della "convenzione termidoriana" e secondo lui fu questo il motivo per cui gli imputati non vennero condannati.

Gli studi di Reynald Secher
Dopo F.-N. Babeuf e la sua tesi sul "populicidio", non vennero formulati altri studi in tal senso per quasi due secoli: nel 1983 Reynald Secher termina il dottorato di terzo ciclo in scienze storiche e politiche alla Sorbona di Parigi, con una tesi dal titolo "La Chapelle-Basse-Mer, village vendéen. Révolution et contre-révolution". Lo studio analizzava la situazione prima e dopo l'insurrezione, a livello culturale, politico, sociale, economico e religioso, di questo piccolo comune vandeano, La Chapelle-Basse-Mer, che durante le guerre di Vandea giocò un ruolo importante in quanto faceva da crocevia tra la "Vandea Militare" e la Bretagna.

I professori con i quali discusse la sua tesi, in particolare Jean Meyer (relatore della tesi) e Pierre Chaunu, gli consigliarono di estendere i suoi studi dal piccolo villaggio a tutta la prima e seconda guerra di Vandea. Così nel 1985, per il suo "dottorato di Stato" in scienze umanistiche, discusse, con gli stessi professori, una tesi dal titolo "Contribution à l'étude du génocide franco-français: la Vendée-Vengé", che l'anno successivo verrà pubblicata con il titolo: "Le génocide franco-français: la Vendée-Vengé.

Per formulare la sua tesi, Reynald Secher analizzò documenti privati come memorie e lettere dei protagonisti della guerra e documenti pubblici conservati negli archivi diocesani e parrocchiali, nei municipi, nei dipartimenti e negli archivi militari della fortezza di Vincennes (vicino Parigi). Il libro di F.-N. Babeuf sta alla base della tesi del genocidio: nonostante la Convenzione avesse ordinato di distruggere tutte le copie del libro, Reynald Secher ne trovò una delle otto ancora esistenti nell'ex-Urss (dove i libri di F.-N. Babeuf erano abbastanza diffusi, perché è considerato il "padre del comunismo"). Dopo la pubblicazione della sua tesi, Reynald Secher decise di ripubblicare anche il libro di F.-N. Babeuf, che riteneva una delle fonti più importanti del suo lavoro.

Il "genocidio vandeano" sarebbe quindi avvenuto nel periodo che va dal novembre 1793 all'aprile 1794, durante il quale non ci furono scontri militari in quanto l'armata vandeana era stata sconfitta in seguito al "Virée de Galerne". Le vittime della repressione non furono soltanto gli insorti superstiti, ma anche e principalmente i civili che abitavano nella "Vandea Militare". La Convenzione aveva infatti esplicitamente stabilito, in diversi provvedimenti e decreti, di sterminare gli abitanti della Vandea indipendentemente dalla loro partecipazione all'insurrezione, non distinguendo quindi tra combattenti e civili, tra cui donne e bambini e nemmeno tra controrivoluzionari e rivoluzionari.

La tesi di Reynald Secher fece molto discutere sia all'interno dell'università sia fuori, soprattutto perché venne pubblicata alla vigilia del bicentenario della Rivoluzione francese. Reynald Secher affermò di aver incontrato difficoltà e ostruzioni anche durante la redazione della tesi (gli venne ad esempio negato l'accesso ad alcuni documenti e archivi statali). Una settimana prima della discussione della tesi poi, uno dei componenti la commissione di esame, Pierre Chaunu, diffuse ai giornali la notizia secondo cui un dottorando era riuscito a dimostrare scientificamente che in Vandea si era compiuto un genocidio. Reynald Secher in quella stessa settimana subì un'effrazione nel suo appartamento di Rennes, nel corso della quale gli vennero sottratte tutte le copie della tesi (tranne gli originali che aveva già depositato all'università). Un funzionario del ministero dell'educazione gli chiese di non discutere la tesi che altrimenti avrebbe infangato la storia della Francia. La conseguenza di ciò, fu che Reynald Secher venne sollevato dall'insegnamento pubblico, nelle scuole superiori e nelle università e gli venne impedito di presentarsi in altri concorsi pubblici. Rimase quindi disoccupato per quasi due anni, prima di venire assunto da alcune scuole private.

Critiche alla tesi del genocidio
Tra gli storici che contestarono il lavoro di Reynald Secher, sicuramente quello che gli dedicò maggiore attenzione fu Jean-Clément Martin che tra il 1986 e il 1987 pubblicò due libri sull'argomento: La Vendée et la France e Blancs et Bleus dans la Vendée déchirée. Jean-Clément Martin fece alcune considerazioni sulla tesi di Reynald Secher:
- nel numero delle vittime scelse un arco di tempo troppo ampio (1770-1789 e poi 1802-1811);
- non considerò i cambiamenti demografici negli anni della guerra;
- non fece distinzione tra le persone morte direttamente a causa della guerra e quelle morte per cause indirette;
- non tenne conto dei vandeani che si nascosero fuori dalla Vandea;
- non considerò l'opinione politica delle vittime (ovvero tra vandeani monarchici e repubblicani);
- non tenne conto delle morti non vandeane.
Tuttavia, alcune di queste accuse risultarono inesatte, in quanto le risposte si possono ritrovare nella stessa tesi: ad esempio nell'ultima parte del suo lavoro, Reynald Secher riporta schematicamente i dati raccolti nel periodo precedente e successivo alla guerra di Vandea e Jean Meyer ha precisato nella prefazione del libro, che nel numero delle vittime si tenne conto anche delle morti repubblicane, ricordando però che il lavoro di Reynald Secher non fu rivolto alle guerre di Vandea, ma a dimostrare che dopo la prima guerra di Vandea si compì un genocidio, quindi il periodo da considerare va dall'inizio del 1793 alla fine del 1794.

Jean-Clément Martin affermò anche che il lavoro di Reynald Secherè "uno scritto autorevole, che condanna la storia che non si occupa di verità assoluta". Inoltre, sulla questione del termine "genocidio" disse che "senza l'intenzione ideologica applicata a un gruppo ben delimitato, la nozione di genocidio non ha senso. E non è possibile né trovare un'identità "vandeana" preesistente alla guerra, né si può affermare che si è andati contro una specifica entità (che sia religiosa, sociale, razziale etc.)".

Il dibattito non rimase confinato ai soli atenei francesi.
Un altro storico molto critico della tesi di Reynald Secher, fu Peter McPhee dell'Università di Melbourne. Lo storico australiano ritenne che il "genocidio vandeano" non rispecchia la definizione di genocidio coniata da Lemkin ossia "atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso" e neanche quella coniata da Frank Chalk e Kurt Jonassohn: "una forma di massacro di massa unilaterale con cui uno stato o un'altra autorità ha intenzione di distruggere un gruppo, gruppo che è definito, così come i suoi membri, dall'aggressore", ciò significa che secondo Peter McPhee, non ci fu l'intenzione, da parte della Convenzione, di sterminare i vandeani.

Proposta di legge per il riconoscimento del genocidio vandeano.
Il 21 febbraio 2007 venne presentata all'Assemblea nazionale francese, da un gruppo di deputati appartenenti all'UMP e al MPF, una proposta di legge per riconoscere il genocidio vandeano, basandosi sulla tesi di Reynald Secher.

Nell'esposizione dei motivi di questa proposta viene spiegato che il tribunale internazionale di Norimberga definì il genocidio come: «[...] la progettazione o la realizzazione parziale o totale, o la complicità nella progettazione o la realizzazione dello sterminio di un gruppo umano di una specifica etnia, razza o religione.».

Mentre il codice penale francese, definisce il genocidio come: «[...] la distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso o di un gruppo determinato a partire da tutt'altri criteri arbitrari [...]».

Queste definizioni, si afferma, corrispondono perfettamente al caso vandeano. Attualmente la proposta di legge fa parte dei lavori della Commissione per gli Affari Culturali, Familiari e Sociali.



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