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Papa
Innocenzo VIII

(1484-1492)

ANNO 1486





1486
SACRO ROMANO IMPERO
Friedrich III
Albero genealogico
(Innsbruck 1415 - Linz 1493)
figlio di Ernst I [il Ferreo], duca di Stiria, e di Zimburga di Masovia [Piasti];
[appartiene al ramo leopoldino degli Asburgo.]
1424-93, duca di Stiria, Carinzia, Carniola e Tirolo (Federico V);
[succeduto al padre]
1440-93, re di Germania e dei romani (Federico IV);
alla morte del cugino Alberto II riceve dai principi elettori sia la corona sia la tutela di Ladislao [Postumo] erede di tutti i territori posseduti dal ramo albertino degli Asburgo nonché delle corone di Boemia e d'Ungheria;
nel 1438, con il concordato di Vienna, ottiene da papa Niccolò V una serie di concessioni e di rinunzie a favore della corona e dei principi tedeschi che gli valgono una notevole preponderanza sulla chiesa in Germania;
1452-93, imperatore del Sacro Romano Impero (Federico III);
riceve la corona imperiale a Roma dalle mani di Niccolò V;
dal 1453 arciduca d'Austria;
1457-93, duca d’Austria (Friedrich V);
nel 1457, alla morte di Ladislao [Postumo], rivendica a sé il diritto all'eredità di tutti i possessi territoriali della casata asburgica e, ottenutili dopo non poche lotte, unifica i domini acquistati, costituendo così il più esteso tra gli stati tedeschi:
Austria eretta in arciducato (1453), Stiria, Carinzia, Carniola, Tirolo;
nel 1458 non riesce a salvaguardare i suoi diritti sui regni di Boemia e d'Ungheria;
nel 1477 combina il matrimonio di suo figlio Massimiliano e Maria di Borgogna, figlia di Carlo [il Temerario], ponendo così le basi della futura potenza asburgica;

Massimiliano I d'Absburgo
Albero genealogico
(Wiener Neustadt 1459 - Wels, Alta Austria 1519)
figlio di Friedrich III e di Leonor di Portogallo;
1477, 19 agosto, sposa Maria di Borgogna, figlia ed erede di Carlo [il Temerario] morto in battaglia all'inizio dell'anno; il possesso dei domini borgognoni gli viene però a lungo conteso dalla Francia contro la quale sostiene una lunga guerra;
1479, vittorioso a Guinegate;
1482, dopo la morte della moglie deve rassegnarsi a stipulare con Luigi XI un accordo in base al quale quest'ultimo entra in possesso dell'Artois e della Borgogna, mentre la Franca Contea viene promessa in dote a sua figlia Margarete, che avrebbe dovuto sposare il delfino; dell'eredità borgognona gli rimangono quindi solo i Paesi Bassi che resisteranno a lungo (1489) prima di riconoscere la sua sovranità;
1486-1519, re dei romani;


1489-1519, arciduca del Tirolo;
1493-1519, arciduca d’Austria;
1493-1519, re di Germania;
1508-19, imperatore del Sacro Romano Impero;

1486
-
Augusta, esiste già (ora nominata per la prima volta in una scrittura della città) la Banca dei Fugger.
Nelle annotazioni di Hans Pfeil di Ulma compare questo ordine di pagamento (tratta): «Caro Signor Christopf Herwart, voi solo vogliate eseguire su questa prima lettera di commissione il pagamento di novecentosessanta ducati d'oro ad Hans Pfeil di Ulm».
[Will Winker, Fugger Il Ricco, Giulio Einaudi Editore Torino 1943.]






1486
REGNO di BOEMIA
Ladislao II Jagellone III

(n. 1456 - Buda 1516)
figlio di Casimiro IV re di Polonia e di Elisabetta d’Absburgo;
1471-1516, re di Boemia (Ladislao II);
nel 1478, con la pace di Olmütz, conferma a Mattia Corvino il possesso delle terre conquistate a Giorgio Podebrad (Moravia, Slesia e Lusazia);
nel 1483, si scontra con l'opposizione hussita che crea tumulti a Praga;






1490-1516, re d'Ungheria (Ladislao VII);

 



1486
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1486
REGNO d'UNGHERIA
Mattia Corvino

(Kolozssvár 1440 - Vienna 1490)
figlio di János Hunyadi;
1458-90, re d'Ungheria;
proclamato grazie alle vaste aderenze e alle ricchezze della sua casata;
nel 1464 attacca il regno di Boemia;
nel 1465, grazie al matrimonio con Beatrice d'Aragona figlia di Ferdinando di Napoli, i contatti con la cultura italiana si fanno più assidui; alla sua corte si costitusce una ricca biblioteca umanistica (Corviniana);
nel 1478, con la pace di Olmütz, Ladislao II Jagellone gli conferma il possesso delle terre conquistate a Giorgio Podebrad (Moravia, Slesia e Lusazia);

 



1486
1485-86, occupa parte dell'Austria e la stessa Vienna;
già occupata Vienna, pone la sua candidatura al trono imperiale, ma la dieta dei principi elettori gli preferisce Massimiliano d'Asburgo;



1486
REGNO di POLONIA
Casimiro IV
Albero genealogico

(Cracovia 1424 - Grodno 1492)
figlio di Ladislao II Jagellone e di Edvige d’Angiò;
1440-92, granduca di Lituania (Casimiro II);
eletto dalla nobiltà locale, con la sua nomina rende il paese indipendente di fatto dalla corona polacca;
1445-92, re di Polonia;
1456-66, lunga guerra contro i cavalieri teutonici che, con la pace di Torun, sono costretti a restituire la Pomerania e a rendergli omaggio feudale;
nel 1470 combatte contro Mattia Corvino che contende a suo figlio Ladislao (il futuro Ladislao II) il trono di Boemia;




1486
-

1486
Albero genealogico

(Tangermünde, Magdeburgo 1414 - Francoforte sul Meno 1486)
terzogenito di Federico I;
1440, eredita il principato di Ansbach;
1464, alla morte del fratello Giovanni [l'Alchimista] eredita il principato di Bayreuth;
1470-86, elettore di Brandeburgo;
in seguito all'abdicazione dell'altro fratello Friedrich II [Dente di Ferro];
riuniti così tutti i possedimenti del casato, inizia una politica di consolidamento e di espansione;
nel 1473, per garantire l'indivisibilità della marca, con la Dispositio Achillea stabilisce un nuovo principio di successione basato sulla primogenitura;
nel 1476 abdica conservando il titolo elettorale;

Giovanni di Hohenzollern [il Cicerone]
Albero genealogico

(Ansbach 1455 - Schloss Arneburg 1499)
figlio di Albrecht III [Achille] e di Margherita di Baden;
1486-99, elettore di Brandeburgo;

1486
Albero genealogico

(† 1486)
figlio di Friedrich II [il Pacifico] e di Margherita d’Austria;
è l'iniziatore del ramo ernestino della casa di Wettin;
1464-86, duca elettore di Sassonia;





Federico III [il Saggio]
Albero genealogico

(Torgau 1463 - castello di Lochau, Annaburg 1525)
figlio di Ernesto duca elettore di Sassonia (linea ernestina) e di Elisabetta di Baviera;
1486-1525, duca elettore di Sassonia;





Alberto IV [il Coraggioso]
Albero genealogico

(Grimma, Lipsia 1443 - Emden, Bassa Sassonia 1500)
figlio di Friedrich II [il Pacifico] e di Margherita d’Austria;
è l'iniziatore del ramo albertino della casa di Wettin;
1464-85, duca di Sassonia;
[regge il ducato con il fratello maggiore Ernesto.]
nel 1474, generale tra i più abili del tempo, appoggia la politica imperiale lottando contro Carlo [il Temerario];
1485-1500, margravio di Meissen (Alberto II)
1485-1500, duca elettore di Sassonia;
dopo la spartizione di Lipsia;




1486
ducato di Baviera
Georg di Wittelsbach [il Ricco]
Albero genealogico

(Landshut 1455 - Ingolstadt 1503)
figlio di Ludwig IX [il Ricco] e di Amalia di Sassonia;
1479-1503, duca di Baviera in Landshut e Ingolstadt;




Albrecht IV [il Saggio]
Albero genealogico

(Munich 1447 - Munich 1508)
figlio di Albrecht III [il Pio] e di Anna von Braunschweig-Grubenhagen;
1467-1508, duca di Baviera-Monaco;
[con il fratello Sigmund e poi da solo, cercando invano di estendere i confini fino a Ratisbona.]



1504-08, duca di Baviera-Ingolstadt u.Landshut;
1505-08, duca di Baviera;
[dopo aver riunito i domini]









1486
IMPERO OTTOMANO
Bayezid II [il Giusto o il Pio]

(1447-1512)
figlio di Mehmet II;
1481-1512, sultano;
[pur sospettato di parricidio, mediante l'appoggio dei giannizzeri e di una potente fazione di alti funzionari, supera l'opposizione del fratello Cem.]
nel 1482 il fratello Cem, suo oppositore, fugge a Rodi;
nel 1483 riprende, con esito alterno, la politica espansionistica del suo predecessore; perfeziona la conquista dell'Erzegovina; proibisce la riproduzione meccanica di qualsiasi testo arabo e turco cso il Corano;
nel 1484 combatte contro croati, ungheresi e polacchi, alternando vittorie e insuccessi, guerre e tregue;





1486
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1486
REGNO di CIPRO e di GERUSALEMME
 

(Venezia 1454 - 1510)
moglie di Giacomo di Lusignano;
1473-89, regina di Cipro e di Gerusalemme;
[sotto la tutela di un ammiraglio veneziano;
nel 1474 muore il figlio James III, nato postumo nel 1473, estinguendosi così così la dinastia dei Lusignano;
si trova subito inserita in un difficile gioco diplomatico, fra le mire degli Aragonesi di Napoli e le pretese di Carlotta erede legittima dei Lusignano;
ben presto, sottraendosi al ruolo di "strumento" che la Repubblica di Venezia gli ha assegnato, intende fare dell'isola un regno indipendente;


1486
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1486
RUSSIA
Ivan III [il Grande]
Albero genealogico
(Mosca 1440 - 1505)
figlio di Basilio II [il Cieco] ;
1449, già co-reggente del padre;
1462-1505, gran principe di Mosca;
continua con esito favorevole la politica di unione delle terre russe già iniziata dai suoi predecessori, superando l'ostilità della Lituania e dell'Orda d'Oro;
nel 1474 conclude con Mengli-Ghiray, khan della Crimea, un'alleanza contro l'Orda d'Oro e si volge contro la repubblica di Novgorod [ormai in stato di debolezza cronica, divisa al suo interno tra il partito dell'oligarchia commerciale e aristocratica che si appoggia allo stato polacco-lituano e il popolo che si appoggia alla Russia];
nel 1478 prende possesso di Novgorod incorporandone i territori nello stato moscovita;
nel 1480 respinge un attacco di Ahmat khan dell'Orda d'Oro [sarà definitivamente liquidata da Mengli-Ghiray nel 1502];
nel 1483 riesce ad annettere Rjazan;
nel 1485 riesce ad annettere Tver;

 
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1486
Moldavia
Stefano III [il Grande]
(n. 1433 ca - m.1504)
figlio del principe Bogdan II della stirpe dei Musat;
1451, dopo la morte del padre, ucciso dal fratello Pietro III Aron, intraprende con quest'ultimo una lunga guerra;
1457-1504, voivoda di Moldavia;
grazie anche all'appoggio di Vlad III di Valacchia;
nel 1467, con la battaglia di Baia, ferma l'attacco degli ungheresi;
nel 1469, con la battaglia di Lipnik, ferma l'attacco dei tatari;
nel 1475, con la battaglia di Racova, ferma l'attacco dei turchi; allarga il proprio dominio a spese dell'Ungheria e della Valacchia;
nel 1484 perde gli importanti centri commerciali di Kilija e Akkerman;


 
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1486
REGNO di FRANCIA
Carlo VIII
Albero genealogico
(Amboise 1470 - 1498)
figlio di Luigi XI e di Carlotta di Savoia;
[ultimo sovrano della dinastia dei Valois.]
1483-98, re di Francia;
[1483-91 - reggente la sorella Anna di Borbone-Beaujeu.]




Primo ministro
[Sovrintendente delle Finanze]
-
Cancelliere-Guardasigilli
-
Segretario di stato agli Affari Esteri
-
 
1486
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1486
ducato d’Angiò
Renato II
Albero genealogico

(n. 1451 - Fains, Barrois 1508)
figlio di Federico (Ferri) di Lorena conte di Vaudémont e di Iolanda d'Angiò (figlia di Renato I [il Buono]);
1473-1508, duca di Lorena;
ereditato il ducato dal cugino Niccolò d'Angiò, con il trattato di Nancy deve cedere a Carlo [il Temerario] duca di Borgogna le più importanti piazzeforti del paese;
nel 1475 è costretto a rifugiarsi a Lione dove prende il comando di truppe svizzere;
nel 1476 sconfigge Carlo [il Temerario] a Grandson e a Morat;
nel 1477 uccide Carlo [il Temerario] nell'assedio di Nancy;
1480-1508, duca di Bar;
succeduto a Renato I [il Buono], è attratto dalle vicende italiane;
nel 1483 combatte a fianco di Venezia durante la guerra di Ferrara, senza nascondere le sue ambizioni sul regno dell'Italia meridionale su cui vanta i diritti della sua famiglia materna;
nel 1485 impone alla Lorena la legge salica, vietando la separazione del ducato di Bar; non avendo avuto figli dalla moglie Giovanna d'Harcourt, la ripudia per Filippa di Gheldria che gli dà un successore, Antonio;
allo scoppio della "congura dei baroni" nell'Italia meridionale contro Ferdinando I d'Aragona, nonostante le insistenze di papa Innocenzo VIII e le precedenti promesse, non interviene dedicandosi invece al miglioramento del proprio stato e del suo assetto politico;





1486
-



1486
ducato di Savoia
Carlo I [il Guerriero]
Albero genealogico
(Carignano 1468 - Pinerolo 1490)
figlio di Amedeo IX [il Beato] e di Yolande di Valois;
1482-90, principe di Piemonte;
1482-90, conte di Aosta, Maurienne e Nizza;
1482-90, duca di Savoia;
nel 1485 sposa Bianca del Monferrato;


1487-90, marchese di Saluzzo;
re di Cipro e Gerusalemme (titolare)
[erede dei regni in seguito alla donazione della zia Carlotta di Lusignano]





 
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1486
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1486
REGNO d'INGHILTERRA
Enrico VII Tudor
Albero genealogico

(castello di Pembroke 1457 - Richmond, Londra 1509)
1485, vissuto finora in esilio, è legato alla casa dei Lancaster da un doppio vincolo di parentela in quanto figlio di:
- Edmondo Tudor, conte di Richmond, figlio di Owen Tudor (secondo marito di Caterina di Valois, vedova del re Enrico V) e quindi fratellastro di Enrico VI, e di
- Margherita di Beaufort discendente da Giovanni di Gand, duca di Lancaster.
1455-85, guerra delle due rose;
1485-1509, re d'Inghilterra;
[dopo essersi fatto proclamare re sul campo di battaglia di Bosworth, nel Leicestershire.]
1486
sposa Elisabetta di York, figlia di Edward IV, ed imprigiona Edward conte di Warwick (nipote di Edward IV e unico erede maschio degli York);
nei primi anni di regno il suo potere viene insidiato dai complotti organizzati dal partito yorkista, capeggiato da Margherita di Borgogna (sorella di Edward IV di York);




1486
-

a

1486
REGNO di SCOZIA
James III
Albero genealogico

(Stirling 1453 - Milltown 1488)
figlio di Giacomo II Stuart e di Mary di Guelders;
1460-88, re di Scozia;
succeduto ancora fanciullo al padre;
nel 1469 sposa Margherita di Danimarca ottenendo in dote le Shetland e le Orcadi;
nel 1471 deve affrontare ricorrenti sedizioni e congiure, suscitate dalla nobiltà che lo accusa pretestuosamente di circondarsi di consiglieri mediocri e volgari;
nel 1483, imprigionato dai baroni, viene liberato dal fratello Alessandro duca d'Albany che pure ha in progetto di spodestarlo;
1455-85, guerra delle due rose (schierato con i Lancaster); alla fine della guerra cerca di rafforzare la propria posizione stringendo amichevoli rapporti con Enrico VII d'Inghilterra;

1486
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a

1486
REGNO di DANIMARCA, REGNO di NORVEGIA e REGNO di SVEZIA
Johan I
Albero genealogico
(Aalborg 1455 - Aalborg 1513)
figlio di Christian I e di Dorotea di Brandeburgo;
nel 1478 sposa la p.ssa Christine di Sassonia;
1481-1513, re di Danimarca e di Norvegia;
1483-1501, re di Svezia (Johan II);
duca di Schleswig-Holstein

1486
-



1486
REGNO di PORTOGALLO
Giovanni II [il Principe Perfetto]
Albero genealogico
(Lisbona 1455 - Alvôr 1495)
figlio di Alfonso V [l'Africano] e di Isabella di Braganza;
1471, prende parte alla spedizione paterna in Marocco dove è nominato governatore;
1481-95, re di Portogallo;
salito al trono limita i privilegi della nobiltà e dirige mirabilmente le esplorazioni oceaniche dell'Africa, perfezionando un tipo di nave ritenuto da tutti ideale per tali viaggi: la caravella con vela latina;




1486
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1486
REGNO di NAVARRA e REGNO di ARAGONA
Ferdinando II [il Cattolico]
Albero genealogico

(Sos, Aragona 1452 - Madrigalejo, Estremadura 1516)
figlio di Giovanni II d'Aragona e della sua seconda moglie Giovanna Enriquez;
1469, Valladolid 19 ottobre, sposa Isabella, sorellastra di Enrico IV di Castiglia;
1474, alla morte di Enrico IV, la figlia Giovanna [la Beltraneja], sposa Alfonso V re del Portogallo;
ne segue una lunga e dura lotta di successione tra le due pretendenti e i rispettivi mariti;
1479-1516, re d'Aragona e di Sicilia;
dopo la conclusione di una lunga e dura lotta per la successione;
con la morte di Giovanni II d'Aragona inizia il regno congiunto dei due sovrani: ciascuno figura come principe consorte nel regno dell'altro, e sul piano costituzionale la Castiglia e l'Aragona rimangono due stati separati, ma tra Ferdinando e Isabella regna una piena intesa;




1503-16, re di Napoli (Ferdinando III);
1512-16, re di Spagna (Ferdinando V);





1486
dal 1478 opera il Sant'Uffizio (Inquisizione spagnola);
1481-92, lunga guerra rivolta tutta al regno di Granada l'ultimo caposaldo arabo nella penisola iberica;



1486
REGNO di CASTIGLIA e di LÉON
Isabella I [la Cattolica]
Albero genealogico

(Madrigal de las Altas Torres, Ávila 1451 - Medina del Campo, Valladolid 1504)
figlia di secondo letto di Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo;
1469, 19 ottobre, liberata dal castello di Madrigal dove Enrico la teneva in una velata prigionia, può sposare Ferdinando d'Aragona, re di Sicilia ed erede della corona aragonese: questo matrimonio, atto di volontà della principessa, non è certo gradito ad Enrico IV né negli ambienti diplomatici portoghesi, inglesi e francesi;
a questo punto molti dei grandi di Castiglia, temendo un rafforzamento che alla corona castigliana sarebbe pervenuto dall'unione con quella aragonese il giorno in cui Ferdinando avesse ereditato l'Aragona, oppongono alle sue ragoni quelle di Giovanna la Beltraneja, figlia presunta di Enrico IV;
1474-1504, regina di Castiglia;
dopo la morte del fratello, anche se la lotta per il riconoscimento dei diritti ereditari continua;
nel 1475 la la battaglia di Toro fra portoghesi e castigliani ha esito incerto;
nel 1476, alla morte del gran maestro dell'ordine cavalleresco di Santiago, pretende che questa carica venga assegnata al marito;
nel 1479 viene sottoscritto il trattato di Alcoçobes (o Alcáçovas) con i portoghesi, in base al quale Giovanna [la Beltraneja] e suo marito Alfonso di Portogallo rinunciano all'eredità castigliana;
nel 1481 si assiste ad importanti sconvolgimenti legislativi;


1486
-




1486
Monferrato
Bonifacio III Paleologo
Albero genealogico
(n. 1424 ca - m. 1494)
figlio del marchese Giangiacomo Paleologo e di Giovanna di Savoia;
1450, premuto dalle mire dei Savoia e da quelle dei duchi di Milano riconsegna Alessandria, ricevuta dal fratello Guglielmo VIII, a Francesco Sforza;
1483-94, marchese di Monferrato;
nel 1485 sposa, in seconde nozze, Maria, figlia di Stefano Brankovic, ex despota di Serbia;










 
1486
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1486
REPUBBLICA DI GENOVA
"Compagna Communis Ianuensis"
Paolo di Campofregoso
Albero genealogico

(? - ?)
figlio di
1462 14-31 maggio, 1463 8 gen - apr 1464,
1483 25 nov - 6 gen 1488, doge di Genova;


1486
-



1486
ducato di Milano
Gian Galeazzo Sforza
Albero genealogico
(Abbiategrasso 1469 - Pavia 1494)
figlio di Galeazzo Maria e di Bona di Savoia;
1476-94, duca di Milano;
sotto la reggenza della madre, assistita dal segretario ducale Cicco Simonetta e appoggiata dal partito guelfo;
nel 1479 Bona di Savoia cede e chiama a Milano il cognato;
dal 1480 reggenza e governo effettivo passano nella mani dello zio Ludovico [il Moro ]; nei mesi successivi Bona di Savoia viene estromessa definitivamente e confinata ad Abbiategrasso;
nel 1484 pur avendo ormai raggiunto la maggior età e promesso sposo di Isabella d'Aragona, figlia del re di Napoli, reggenza e governo effettivo rimangono nella mani dello zio Ludovico [il Moro ];


Ludovico Sforza [il Moro]
Albero genealogico
(Vigevano 1452 - Loches, Turenna 1508)
figlio quartogenito di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti;
nel 1476 cerca con gli altri fratelli Sforza Maria, Ascanio e Ottaviano di contrastare la successione del nipote Gian Galeazzo Maria;
nel 1477 un suo colpo di mano tentato assieme ai fratelli viene sventato ed i congiurati, banditi dalla città, vengono confinati in diverse città italiane;
da Pisa egli continua la sua azione per scalzare l'autorità di Bona di Savoia e di Cicco Simonetta, contando anche sull'appoggio di Alfonso d'Aragona (figlio del re di Napoli Ferdinando I) e di Roberto di Sanseverino;
nel 1478 verso la fine dell'anno si porta con i fratelli in Liguria, con l'intenzione di puntare su Milano;
nel 1479, nonostante un nuovo bando per ribellione e nonostante la morte di Sforza Maria, assieme agli altri fratelli prende Tortona; Bona di Savoia cede e lo chiama a Milano;
1479-1500, duca di Bari;
dal 1481 è l'incontrastato signore di Milano;
1482-84, combatte contro Venezia la guerra di Ferrara;



1494-1500, duca di Milano;






 
1486
1485-86, porta un valido aiuto a Ferdinando I nel corso della "guerra dei baroni";


1486
Mantova
Francesco II Gonzaga
Albero genealogico
(n. 1466 - m. 1519)
figlio di Federico I e di Margherita di Baviera;
1484-1519, marchese di Mantova;
succeduto al padre, si avvicina alla Serenissima pur cercando di mantenere il buon vicinato con Milano;

1486
-

1486
REPUBBLICA DI VENEZIA
"La Serenissima"
Marco Barbarigo
Albero genealogico
(Venezia 1413 - Venezia 14 ago 1486)
figlio di Francesco e di Cassandra Morosini; ha tre fratelli (di cui uno doge, Agostino, suo successore);
1485-86, doge di Venezia; [73°]
1486
Agosto
14
, muore.



Agostino Barbarigo
Albero genealogico
(Venezia, 1419 – Venezia, 20 set 1501)
figlio di Francesco e di Cassandra Morosini; ha tre fratelli (di cui uno doge, Marco, suo predecessore);
1486
Agosto
30
, viene eletto doge.
1486-1501, doge di Venezia; [74°]




- nunzio pontificio: ? (? - ?)
- ambasciatore di Spagna: ? (? - ?)

1486
-



1486
Firenze
Lorenzo de' Medici [il Magnifico]
Albero genealogico
(Firenze 1449 - 1492)
figlio del banchiere fiorentino Piero e di Lucrezia Tornabuoni;
1466, inizia l' avventura dell'allume che sarà uno dei motivi principali del crollo di casa Medici;
1469-92, signore di Firenze;
alla morte del padre ha solo 21 anni ed è quindi costretto ad affidarsi all'esperienza di Francesco Sassetti che finisce per diventare l'arbitro assoluto dell'impero economico di famiglia;
nel 1475 viene in urto con Sisto IV e ai Medici viene tolto l'incarico di depositari generali della Santa sede, ora affidato al genovese Melladuce Cigala;
nel 1477 si assicura il commercio del ferro stipulando un contratto con il signore di Piombino proprietario delle miniere dell'isola d'Elba;
nel 1478 prende corpo la "congiura dei Pazzi";
il centinaio di esecuzioni che punisce l'assassinio scatena il papa che scomunica Lorenzo e muove guerra; 
le fortune economiche dei Medici sono ormai tramontate e, a catena, il dissesto si propaga a tutte le proprietà dei Medici; ogni intervento, lecito e non, è inutile;
nel 1485, per ripagare i figli del cugino Pierfrancesco, è costretto a cedere loro tra l'altro la villa di Cafaggiolo dalla quale prende nome il suo ramo;
 
1486
-



1486
ducato di Urbino
Guidobaldo I
Albero genealogico
(Urbino 1472 - Fossombrone 1508)
figlio di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza;
1482-1508, duca di Urbino;
[sotto la tutela del conte Ottaviano Ubaldini e la raffinata educazione dell'umanista Ludovico Odasio;]
1486-89, iniziata giovanissimo, come tradizione di famiglia, la carriera delle armi combatte nella Marca, in Romagna e in Umbria contro feudatari e città ribellatesi a Innocenzo VIII;
 
1486
-



1486
REGNO di NAPOLI e REGNO di SICILIA
Ferdinando I o Ferrante
Albero genealogico

(1431 ca - Napoli 1494)
figlio naturale di Alfonso V [il Magnanimo];
1443-58, duca di Calabria;
[titolo spettante tradizionalmente agli eredi al trono di Napoli.]
nel 1445 sposa Isabella di Chiaramonte;
1454, con la pace di Lodi egli intende mantenere per la penisola lo status quo consacrato;
1458-94, re di Napoli;
succeduto in base alle disposizioni testamentarie del padre, l'ascesa al trono gli viene contestata da più parti:
- da papa Callisto III, signore feudale del regno di Napoli che si rifiuta di riconoscere i diritti di un bastardo;
- da molti baroni favorevoli ad appoggiare le pretese angioine al trono napoletano;
alla morte di Callisto III viene invece riconosciuto dal successore Pio II, cui sta a cuore la pacificazione dei cristiani per poter rilanciare la crociata contro gli ottomani;
il riconoscimento avviene però previa cessione della città di Benevento e corresponsione puntuale del censo che il regno deve alla curia;
non cessa invece l'opposizione dei nobili filoangioini, appoggiati da Genova, che invitano nel napoletano Giovanni d'Angiò perché vi faccia valere i suoi diritti, e al suo fianco si schierano due codottieri illustri, Iacopo Piccinino e Sigismondo Malatesta;
l'intervento di Francesco Sforza al fianco di Ferdinando, l'appoggio di Pio II, l'aiuto apportato dal principe albanese Giorgio Scanderberg salvano il trono aragonese;
nel 1465 cessa ogni resistenza baronale e angioina;
sua figlia Leonora va in sposa a Ercole I d'Este, duca di Ferrara, mentre una sua figlia naturale sposa Leonardo della Rovere, nipote di Sisto IV;
nel 1467 sottoscrive insieme con Milano, Firenze e il papa una lega difensiva che lo assicura contro Venezia;
nel 1478 l'alleanza con Sisto IV e gli interessi espansionistici verso la Toscana meridionale lo fanno coinvolgere nel complotto contro i Medici e nella guerra che ne segue; nello stesso tempo, temendo il prepotere in Milano del ministro Cicco Simonetta, gli fa appoggiare il colpo di stato di Ludovico [il Moro];
nel 1480 la diplomazia tempestiva di Lorenzo [il Magnifico] lo induce a imporre al papa la pace con Firenze;
nuova lega tra Milano, Firenze e Napoli;





Alfonso II
Albero genealogico

(Napoli 1448 - Mazzara, Messina 1495)
figlio di Ferdinando e di Isabella di Chiaromonte;
1458-94, duca di Calabria;
nel 1465, riprendendo la politica di riavvicinamento ai duchi di Milano, sposa Ippolita Maria figlia di Francesco Sforza;
1478-79, nella guerra che segue alla congiura dei Pazzi, viene inviato come gonfaloniere a combattere contro Firenze;
1480-81, si distingue contro i turchi che hanno occupato Otranto;
1482-84, si distingue nella guerra di Ferrara;
nel 1485 concede in moglie la figlia Isabella al duca Gian Galeazzo Sforza;
1486
in occasione ella congiura dei baroni, sostenuta da Innocenzo VIII, riesce a superare vittoriosamente la crisi costringendo il papa alla pace e dominando i nobili;



1494-95, re di Napoli;




1486
-

« congiura dei baroni »

Gennaio
continua intenso il lavorìo diplomatico. Benché con poca fiducia, nella convinzione che siano ancora una volta pratiche per «adormentare et per ingannare», sin da ora si comincia a parlare di pace.
[Prima di addivenire agli accordi siglati a Roma l’11 agosto
1486, sono in molti a intavolare trattative e porsi come mediatori tra Ferrante e Innocenzo VIII.]
Durante le fasi preliminari, la sicurezza dei baroni e il pagamento del censo annuo che il re aragonese dovrebbe versare alla Chiesa si sono rivelati i punti più critici e tali rimarranno anche in seguito.]

Aprile
Ferrante «leva sali et fuochi al conte Girolamo», sostituendoli col versamento dell’adoa – la tassa dovuta al re dai feudatari in luogo del servizio militare – che il conte rifiuta di pagare.

Maggio
verso la metà del mese la confisca sembra cosa fatta;
[…, ma la conferma arriverà solo a fine giugno.
Nel corso dei mesi sono avanzati i nomi di diverse persone alle quali riassegnare la contea di Girolamo Riario, tra cui don Alfonso d’Aragona, figlio bastardo del sovrano che per l’occasione
sarebbe fatto rientrare dal Cairo, dove soggiorna, e il condottiero Roberto Sanseverino.
A beneficiarne è invece ora Francesco Coppola, conte di Sarno.
Dietro pressioni del duca di Milano, e soprattutto di Ludovico [il Moro], l’ambasciatore Branda Castiglioni chiede spesso conto al re delle sue intenzioni nei confronti di Girolamo Riario. Se a marzo Ferrante lo ha ‘rassicurato’, dicendogli che il conte «non serìa pegio tractato de li altri baroni, et quello che servava ad li altri se servarà ad la sua signoria», ora il re dice di «haverne la puza sopra del naso verso el conte Hieronymo» e suggerisce all’oratore di non tornare sull’argomento, perché sarebbe stato tempo sprecato.]

Ferrante, che sa del suo coinvolgimento, approfitta di lui, lusingandolo dapprima con la concessione dell’ufficio di grande ammiraglio (maggio 1486), poi con la speranza di un utopico imparentamento con la casa regnante.
In cambio dell’adesione alla congiura – nella quale Francesco Coppola ha dichiarato di impegnare la persona e le ricchezze – gli stessi ribelli hanno fatto leva sulla sua cupidigia e brama di potere, promettendogli le contee di Nola e Castellamare, gli stati del duca di Ascoli, la dogana di Ischia, oltre al saldo di tutti i crediti vantati presso la Corona.
[Per la promessa delle contee e per l’impegno finanziario di Francesco Coppola nella congiura (pare addirittura che il
conte abbia offerto di mettere a disposizione della cospirazione anche i 30.000 ducati della dote, quando si è prospettato il matrimonio della figlia con un figlio del principe di Bisignano).

Giugno
-


Agosto
11
, la pace di Roma [pubblicata a Napoli il 14 settembre] sancisce la dipendenza feudale del regno dal papato (con il pagamento del censo consueto), ma anche la dipendenza dei baroni dal re.
Ferrante, anche se ha promesso di perdonare i ribelli, compie una feroce repressione.
[Camillo Porzio, La congiura de' baroni del Regno di Napoli contra il re Ferdinando I -1565.]
[A questa "I Fase", seguirà una nuova ondata di arresti e confische di beni a danno della feudalità.
Da questo momento si chiude la parte ‘attiva’ della congiura ed è la diplomazia a giocare un ruolo fondamentale per cercare un accordo tra il papa e il sovrano, accordo che sarà raggiunto solo nel 1492.]
12, Giovanni Lanfredini informa Lorenzo [il Magnifico] che Barnaba Sanseverino e Giovanna Sanseverino (già ottuagenaria) hanno fatto sapere di volersi recare a Napoli ancor prima degli arresti;
13, con la maggior parte della feudalità regnicola radunata
nella sala grande di Castelnuovo per il matrimonio della nipote Maria Piccolomini con Marco Coppola, Ferrante in luogo della sposa fa entrare in scena il castellano e le sue guardie, i quali, nel pieno dei festeggiamenti, procedono a una serie di clamorosi e inattesi arresti. Gli ambasciatori della lega, accorsi alla chiamata del re e convinti di assistere allo sposalizio, si vedono comunicare in rapida successione due notizie di cui non colgono immediatamente la portata.
Una è che tre giorni prima, a Roma, Giovanni Pontano e Giovan Giacomo Trivulzio hanno sottoscritto a nome del re l’accordo di pace col papa.
La seconda è l’arresto appena messo in atto di alcuni cospiratori. I nomi sono fatti poco per volta: forse nella concitazione del momento, Ferrante ha menzionato solo il suo segretario e il conte di Sarno, con i rispettivi figli, fratelli e con le donne; uscendo dal castello gli oratori apprendono che tra i detenuti vi
sono anche Aniello Arcamone e Giovanni Pou.
[I dispacci relativi alla cattura sono spediti la stessa notte del 13 agosto, con una staffetta delle poste milanesi: quello sforzesco
è deperdito; gli altri due sono editi in Corrispondenza ambasciatori fiorentini.]
Gli arrestati sono Antonello Petrucci, il segretario, con la moglie Elisabetta Vassallo, una figlia e il figlio Giovanni Antonio, conte di Policastro. Il figlio Francesco Petrucci, conte di Carinola, che non ha preso parte alla cerimonia ed è ignaro della sorte dei congiunti, viene raggiunto nei suoi possedimenti di Carinola e condotto a Napoli senza opporre resistenza.
Il segretario ha almeno altri cinque figli, quattro dei quali il 16 agosto sono liberi, non essendo evidentemente considerati implicati nelle vicende.
L'ambasciatore Giovanni Lanfredini scrive ai Dieci di Balia di Firenze che «l’arcivescovo di Taranto [Giovan Battista Petrucci] e altri tre figli del secretario fino a qui sono liberi».
Altri fratelli sono Tommaso Anello, priore di Capua, e Severo, vescovo di Muro. Poi vi sono almeno due figlie.
Tra gli arrestati egli elenca il segretario coi due figli maggiori e la moglie; Aniello Arcamone e Giovanni Pou.
Egli scrive inoltre: «I danari creschono […], et tuttavia cerchano, perché la voce è ve ne sia fino a centomila […]. Et per questi rispecti sono sostenute le donne e la secretaria».

Oltre allo sposo, Marco Coppola, sono trattenuti il padre Francesco Coppola, il fratello Giacomo Coppola, alcune sorelle e un numero imprecisato di «famigli et domestichi».
Le fonti diplomatiche annoverano tra i catturati anche Matteo Coppola, fratello del conte di Sarno, ma dal momento che nell’ottobre dello stesso anno questi si trova ad Alessandria
d’Egitto, c’è da pensare che non sia stato realmente catturato e
che sia riuscito a fuggire.
Assieme ai suddetti, distribuiti in varie stanze e prigioni di Castelnuovo, ci sono Aniello Arcamone con la moglie e
il loro unico figlio e il maiorchino Giovanni Pou.
[L’elenco degli arrestati è stato ricavato incrociando i dati, non sempre coincidenti, dei dispacci di Giovanni Lanfredini e Battista Benededei.
I figli maschi di Luise Coppola sono Francesco e Matteo (Volpicella, Regis Ferdinandi, p. 325), perciò non possiamo ipotizzare che l’uomo arrestato (o quello fuggito) sia un terzo fratello.
Nel marzo del 1489 in Calabria sarà arrestato un uomo che «havea parentado col Copuola»: – così Piero Vettori a Lorenzo de’ Medici in Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli.
Ci sono problemi anche coi nomi dei due figli arrestati del conte di Sarno: Porzio, La congiura, chiama Filippo, e non Giacomo, il figlio minore del conte di Sarno (p. 152), mentre secondo Passero, Storie, p. 50, i figli del Coppola arrestati sono Marino e Filippo. Marco e Filippo anche in altre fonti…]

I reclusi ricevono trattamenti diversi, a seconda del diverso grado di colpevolezza: « [Francesco Coppola e Antonello Petrucci] sono posti in loci del Castellonovo condigni ali demeriti soi, et dove se soleno deponere simili delinquenti et cum le custodie arentissime [strette, vicine]; messer Joanni Impou in loco mancho molesto et cum minor custodia; messer autem<!> Anello in la torre de Sanctio Vincentio, in la camera di sopra, bona, sana et expedita
di omni altra cossa, et luminosa, deputandoli inmediate uno famiglio de li soi al servitio suo, et dandoli la comodità del suo lecto, apparata la camera de tapezarie ac si non fuisset detentus, et similiter de libri et omni altra cossa al bisogno de l’animo suo et del corpo, dovendo stare in quello loco. […] Li figli posti in camere del castello, salvo el primo del secretario
[Francesco Petrucci], posto in loco condigno al delicto suo. Le done dal lato dela signora regina et bene attese».
Per quel che concerne le prigioni di Castelnuovo:
. Francesco Coppola sta nella «Fossa del miglio»;
. Antonello Petrucci sta «nel Forno»;
. Aniello Arcamone sta nella «Torre di San Vincentio, in una camera»;
nella stessa torre, ma nel ‘forno’, sta anche Francesco Petrucci;
«messer Impou e gli altri in castello».
Francesco Petrucci è stato chiuso nella Fossa della Torre dell’Oro, mentre nel forno della Torre di S. Vincenzo vi è il fratello
Giovanni Antonio.

[Secondo Battista Benededei, nei mesi successivi la detenzione di Francesco Coppola sarà meno dura di quella del segretario: egli non subirà alcuna molestia, «nì de tortura né d’altro marturio» e «de la pregione in fuori – che è malo loco quella del Miglio –, del resto non li mancha covelle al bisogno et servitio suo. El signor re li ha deputato uno aiutante de camera».]

Al momento della cattura il sovrano ha già raccolto a carico degli
imputati un buon numero di prove
[vedi novembre 1485].

Dei principali imputati è evidente che fin da subito Aniello Arcamone è tenuto in maggior considerazione; insieme a Giovanni Pou egli non sarà processato (il suo nome non compare mai negli atti), ma il fatto che dovrà trascorrere almeno cinque anni di reclusione, seppur in stanze rese accoglienti dal mobilio, da servitori personali, oltre che dalle frequenti visite di amici, privati e pure della moglie, lascia intendere che il sovrano non
si ritenga del tutto sicuro della buona fede di quel suo vecchio collaboratore che tempo addietro qualcuno aveva anche prospettato come possibile successore del segretario.
La moglie si appellerà (invano) anche ai duchi di Ferrara, affinché si mobilitino per ottenere la scarcerazione del consorte e del figlio. A suo dire la causa della cattura del marito dipende dalla profonda amicizia col segretario, piuttosto che dalla parentela. Tutti i beni sequestrati ad Aniello Arcamone, ad eccezione del denaro e dell’argenteria, saranno presto resi alla famiglia, alla quale il re farà dire di controllare se manca qualcosa; Ferrante
non accogli invece la richiesta di Aniello Arcamone di lasciargli disporre di una certa somma con cui mantenere una famiglia «di 15 o 18 bucche». All’inizio di marzo del 1487 Aniello Arcamone sarà spostato in Castelnuovo, in una camera collocata sopra le stanze regie. Il trasferimento avverrà durante il giorno, senza armati, ma con un piccolo gruppo di «homini da bene». La poca
guardia, il numero di servitori personali deputati alla cura del carcerato, assieme al cambiamento di luogo di detenzione saranno approvati anche dal duca di Calabria e dai conti
di Maddaloni e Marigliano.
Descrivendo a Lorenzo [il Magnifico] il conte, Giovanni
Lanfredini
lo definisce: «Messer Anello è oggi el primo voto e per esso el re, […] m’è parso uno sufficiente cervello, fondato et di grande pratica e ’sperienzia e, se el signor secretario manchassi, che Idio lo conservi, nessuno più atto a simile esercizio truovo di lui in questa parte. Et hora, in tutte le cose inportanti che chaschano, lui à chura di scriverle o di vederle, è huomo frescho e da servirsene lungamente» e ancora :«Messer Anello Archamono,
del giudicio del quale el re ogi fa stima assai et quanto d’omo abi questa corte
».
Giovanni Pou – pare – sarà liberato all’arrivo dei francesi e comunque morirà nel 1510.
Preme ricordare che l’ottimo rapporto tra Aniello Arcamone e Antonello Petrucci è di vecchia data; se ne era avveduto l’oratore veneziano Zaccaria Barbaro già nel 1471, che aveva scritto: «Luy è tutto del magnifico secretario et è suo alevo».


Nei giorni seguenti i contorni della vicenda sono dipanati e la freddezza calcolatrice del sovrano è chiara a tutti.
Il matrimonio è stato l’occasione perfetta per adunare a Napoli un grande numero di baroni senza destare sospetti e far sì che gli stessi portassero con sé le gioie, parte indossate e parte cucite tra le pieghe dei sontuosi abiti.
Immediatamente dopo gli arresti comincia infatti la fase delle confische dei beni mobili e immobili appartenuti ai ribelli; trattenere nel castello anche le mogli dei baroni ha come scopo precipuo quello di impedire alle stesse di occultare i tesori e costringerle a dichiarare quali, quanti e dove siano i depositi di denaro.
L'ambasciatore Giovanni Lanfredini scrive inoltre: «I danari creschono […], et tuttavia cerchano, perché la voce è ve ne sia fino a centomila […]. Et per questi rispecti sono sostenute le donne e la secretaria».

16, secondo Giovanni Lanfredini, che come il collega estense non conosce tutti i retroscena, le motivazioni dell’arresto vanno cercate in alcuni episodi occorsi nelle settimane immediatamente precedenti.
Egli scrive a Lorenzo [il Magnifico]:
«El secretario proprio s’è ruinato per essersi molto alzato a fare
grande el conte di Sarno et tolerare le exorbitantie sue
».
[È stato infatti Antonello Petrucci a caldeggiare presso il re il matrimonio del figlio di Francesco Coppola, ma nel farlo, ha usato toni imperiosi e velatamente minacciosi, come chi si rivolge a un proprio pari.
Grazie alle nozze del primogenito Marco Coppola con Maria Piccolomini, figlia del duca di Amalfi e nipote del re per parte di madre, il ricco banchiere si sarebbe finalmente imparentato con la casa regnante. Ma ha scoperto quanto il re abbia saputo tenerlo sulla corda e quanto ritenesse inopportuno quel genere di alleanza matrimoniale.
Ferrante mai avrebbe voluto «che uno suo pare merchadante
havesse una del suo sangue
» e il continuo posticipare le nozze (provocando le ire di Francesco Coppola e le incalzanti richieste del segretario) gli serviva solo a prendere tempo per poter effettuare gli arresti quando fosse stato certo della pace siglata a Roma.]
Lo stesso giorno Giovanni Lanfredini scrive: «Furono molte parole sopramano, veramente non conveniente verso uno re» (16.VIII.1486, Corrispondenza ambasciatori fiorentini, II, n. 345, p. 659)
e Battista Benededei riferisce che il sovrano «pigliò tanto dispiacere […] de la presumptione loro de parlarli in questo caso come se fusse sta’ uno citadino, non che uno re et suo signore».

20, accusati tutti di lesa maestà e crimini contro la persona del re, spogliati dei beni e dei titoli, per il segretario, i suoi due figli e il conte di Sarno cominciano quasi subito i processi.
[Tra il 20 agosto e la fine di settembre ciascuno dei quattro imputati viene interrogato più volte e spesso è chiamato a sottoscrivere stralci delle proprie dichiarazioni.
Voci di corridoio riferite dall’oratore estense parlano anche di ricorso alla tortura, ma solo per il segretario.
Antonello Petrucci rinuncia a difendersi fin da subito.
Ad accennare alle torture subite da Antonello Petrucci sarà l’oratore estense Battista Benededei, l’11 e 20 dicembre 1486. In particolare il 10.I.1487 egli scriverà: il «secretario è come mezo morto, tanti marturi et torture ha havuto, etiam post sententiam, solo per intendere se havea denari, per modo che molte volte ha dicto ha perduto la roba, la moglie, li figli, l’honore, che vorìa fare più de’ denari? Postremo dicendo: “Mo’ voliti che perda l’anima?” ».]

In seguito all’arresto si sprecano gli aggettivi che vogliono il segretario uomo malvagio e avido, ma nei mesi precedenti la data dell'arresto il sovrano ha lasciato trapelare ben poco sul suo conto. Durante il convegno di Miglionico, quando lo inviava quotidianamente a trattare coi baroni per definire gli accordi, Ferrante manifestava sibillino il dubbio che il segretario «pecchassi in grandissima credulità, o ignorantia o altro».

29, la prima a presentarsi al cospetto del re, è la contessa vecchia Giovanna Sanseverino;
[L’ultimo a capitolare sarà suo nipote Antonello Sanseverino, quel principe di Salerno che la donna spera di riportare nelle grazie del sovrano, ma che le ha fatto sapere di non gradire la sua intercessione.]

Lo stesso giorno arrivano a Napoli 147 carri di artiglierie provenienti da Sarno.
[Passero (Storie, p. 47).]

Settembre
11
, non è ancora stata pubblicata la pace, che i baroni si riuniscono per rinnovare la loro unione;
a nemmeno un mese dai primi arresti, nella chiesa di Lacedonia i ribelli si inginocchiano uno alla volta e, poste le mani su quelle di don Pietro di Guglielmone, che tiene un’ostia consacrata, confermano il patto ad unum velle et ad unum nolle, deliberando altresì che nessuno, nemmeno il pontefice, potrebbe assolverli dal giuramento che, tra l’altro, coinvolge anche i loro eredi.
Alla cerimonia sono presenti:
. il principe di Altamura, per sé e come rappresentante del siniscalco Pietro de Guevara;
. Antonello Sanseverino, per sé e come procuratore dello zio Barnaba, conte di Lauria,
. Andrea Matteo Acquaviva,
. Giovanni Antonio Acquaviva,
. Giovanni Andrea da Perugia come procuratore del principe di Bisignano,
. Girolamo Sanseverino,
. Carlo Sanseverino,
. Berlingeri Caldora,
. Raimondo Caldora.

14, Napoli, viene pubblicata la pace di Roma [stipulata l'11 agosto].
L’atteggiamento coercitivo di Ferrante e Alfonso ha reso i ribelli ancora «più duri e più uniti tra loro» e fa dire al nuovo ambasciatore fiorentino, Bernardo Rucellai, che i messaggi e le dimostrazioni di devozione verso il re altro non sono che «pratiche con simulationi e bugie».

In sostanza non è cambiato molto rispetto all’estate.
Anche se indebolita e privata degli appoggi interni alla corte, la feudalità è intenzionata a resistere: le sue promesse – come del resto quelle regie – si fondano su menzogna e simulazione.
17, a turbare i baroni è anche la scomparsa molto sospetta di uno degli attivisti della congiura: il gran siniscalco, Pietro de Guevara, che muore improvvisamente nella sua tenuta di Vasto.
[Mentre secondo i dispacci di Battista Benededei, di Giovanni Lanfredini ai Dieci di Balia, 21.IX.1486, (Corrispondenza ambasciatori fiorentini, II, n. 366, p. 698) e di Branda Castiglioni,
l’uomo è «morto desperato intesa la pace successa», secondo il notar Giacomo (Cronica, p. 160) sarebbe morto «advenenato con uno lemoncello» offertogli da Giacomo Conti.]

 

Ottobre
3
, dopo che obtorto collo ha ratificato il trattato di pace e prestata l’obbedienza al sovrano a nome proprio e degli altri baroni, Carlo Sanseverino, conte di Mileto, consegna al re una lista di petizioni, senza riportare il successo sperato.
Le istanze sono di poter tenere nelle proprie terre uomini d’arme e non essere costretti ad alloggiarvi quelli regi, ma anche non essere obbligati a presentarsi a corte a ogni chiamata e poter disporre delle proprietà del defunto gran siniscalco Pietro de Guevara.
Ferrante dà una risposta scritta edulcorata; il suo vero pensiero è che le richieste siano «molto exhorbitante et aliene da omne iustitia et benestare».
10, mentre è ancora detenuta in Castelnuovo, Elisabetta Vassallo, moglie del segretario, muore (gli interrogatori a carico del marito e dei figli sono terminati, ma non è stata data la sentenza). La salma è portata nella cappella di famiglia di San Domenico «in una capsa discoperta, accompagnata cum poche candele et quatro persone, et li frati Sancti Dominici».
[L’oratore fiorentino Giovanni Lanfredini, ormai prossimo al rientro in patria, non accenna minimamente alla scomparsa della donna e non c’è una lettera di questo periodo del milanese Branda Castiglioni.]

Lo stesso mese, al termine dell’istruttoria, il notaio Giovanni del Galluzzo, procuratore fiscale, legge loro le rispettive confessioni e dà a ciascuno il termine di dieci giorni, entro il quale organizzare la difesa.
Nell’incipit dei verbali delle udienze – che per volere del sovrano sono pubblicati e fatti circolare presso i governi, le signorie e le corti italiane – a carico dei ribelli si parla di «machinationi, coniurationi, conspirationi, unioni, tractati, sublevationi, ordinationi, revellationi de secreti».
Il ventaglio di accuse, confermate dalle 37 persone chiamate a testimoniare, è tanto ampio da non lasciare spazio a una qualsivoglia difesa.

Novembre
13
, viene data lettura della sentenza «suso la sala grande, nel tribunal consueto», mentre le donzelle della regina assistono dai «corretoi seu ballatori di sopra de la sala».
Prelevati uno alla volta dalla rispettiva prigione e condotti nel cortile di Castelnuovo, Antonello, Francesco e Giovanni Antonio Petrucci riconoscono le colpe e si rimettono alla clemenza regia, mentre Francesco Coppola si rinserra in un duro silenzio che rompe solo quando lo riportano in cella per constatare che non è stata comunicata la data dell’esecuzione.
Alcuni testimoni oculari descrivono la commozione della moltitudine di popolo accorsa per assistere, del resto il verdetto
è chiaro: deve «essere levata ad ogne uno de lloro la testa, ché
in ogne modo la loro anima sia separata dal corpo
».

I primi giustiziati sono i figli del segretario Antonello Petrucci: mentre il secondogenito Giovanni Antonio viene decapitato, il primogenito Francesco viene sgozzato e squartato.
Francesco Petrucci era coadiutore del padre nella cancelleria regia; questo incarico gli dava accesso a luoghi e informazioni che agli occhi dei ribelli fecero di lui un elemento «sollicitissimo et ingegnoso» nella cospirazione.
Forse non a caso il re lo ha definito come «el pegio de tuti»: è stato il primo ad essere processato e il primo a essere ucciso.
[Francesco Petrucci ha confessato di aver decifrato assieme a
Francesco Coppola, nella biblioteca di Castelnuovo, una lettera del condottiero Roberto Sanseverino ai ribelli.
Nell’estate del 1486 Francesco Petrucci ha cercato una condotta
presso Virginio Orsini.
Giovanni Lanfredini lo definise «homo discretissimo et d’età di circha anni XXX».]


25, Bernardo Rucellai scrive al Lorenzo [il Magnifico]:
«Appresso intendo, benché non di luogo molto autentico, che ’l re pratica di fare cardinale don Federico, per farli con questo rilascare el principato di Taranto».

Dicembre
11
, dopo quattro mesi di carcere, il trentenne Francesco Petrucci, conte di Carinola, è condotto sul luogo dell’esecuzione.
Disteso su una carretta trascinata da una coppia di buoi, attraversa tutti i sedili di Napoli per approdare alla piazza del
mercato. Qui, inginocchiato su un palco, dopo essersi confessato ed essersi doluto della sua sorte con gli astanti, «lo ministro de la iustitia, non se ne avedendo lui, in uno voltare la testa, havendo in mano una falcinella da podere more turco li tagliò el canaruzzo».
Per enfatizzare ulteriormente la colpa, il suo corpo è squartato e posto fuori della città, nei crocevia delle quattro arterie principali. Il fratello Giovanni Antonio Petrucci, conte di Policastro, raggiunge a piedi la piazza poco dopo e attende l’esecuzione senza mai
proferire parola.
La lettura dei processi fa apparire il primogenito come maggiormente colpevole, anche di aver forzato il padre, che in alcuni momenti era forse parso dubbioso e più recalcitrante a continuare l’impresa.
Francesco Petrucci è stato cooptato dal conte di Sarno e ha avuto parte molto attiva nella cospirazione (soprattutto nel coinvolgere a sua volta il marchese di Bitonto), ma già quando era entrato nel gruppo dei ribelli nutriva personali motivi di rancore verso il sovrano.
[Vincenzo di Mazzeo da Nola, intimo del conte, dichiarerà che questi si era particolarmente risentito dopo che Ferrante gli aveva impedito di far deviare un corso d’acqua nei pressi di Carinola, con la motivazione che la bonifica avrebbe disturbato la caccia. Francesco Petrucci sembra avesse pronunciato parole simili alle seguenti: «Spero in Dio che presto veneranno ala maestà del signor re tanti affanni e tanti pisci da scardare che haverìa habuto
altro pensiere de pigliare lo saone dello Mazone et attendere allo cazare et altri piaceri
».
Nella bolla contro Ferrante, tra le altre accuse mosse al sovrano dai baroni, vi è anche quella che riguarda l’impossibilità di mettere a coltura luoghi boscosi e selvaggi o tagliare legna nelle macchie per non disturbare la caccia.]
Maggiori perplessità sul suo conto sono emerse dopo la sollevazione delle bandiere della Chiesa a Salerno, il 19 novembre.
Benché Antonello Petrucci e Giovanni Pou figurino colà come
ostaggi dei ribelli, insieme al principe Federico d’Aragona, voci di popolo sostengono«variamente chi che sono distenuti et chi che sono traditori». La posizione del segretario è resa ancor più critica dalla contemporanea fuga, repentina e apparentemente immotivata, del primogenito Francesco Petrucci nei suoi possessi di Carinola. La partenza precipitosa da Napoli non è passata inosservata: le modalità e le motivazioni hanno costituito
la prima domanda a cui è stato invitato a rispondere in sede processuale. Avvisato della sollevazione, pare da una lettera del cancelliere del marchese di Bitonto, il conte si era ritirato nel suo castello di Carinola, dove era quasi subito stato raggiunto dagli uomini del re che lo avevano arrestato e riaccompagnato a corte. Ferrante lo ha liberato solo dopo avergli confiscato le terre e, probabilmente ad arte, si è nostrato comunque fiducioso verso i Petrucci.
Diffondendo voci secondo cui i sospetti sul padre e i figli erano nati «per la sottilità de’ baroni adversi», e riabilitandoli nella cancelleria regia, il re aveva forse già iniziato a mettere in atto la sua vendetta.

[Se i nomi dei figli nella documentazione coeva appaiono raramente e piuttosto tardi, gli oratori a Napoli hanno avuto invece assai presto sentore di sospetti inerenti Francesco Coppola, Antonello Petrucci e pure Giovanni Pou.
Ciascuno ha colto aspetti diversi, in momenti e attraverso canali diversi e con diverso grado di profondità: Giovanni Lanfredini e Battista Benededei paiono, ad esempio, meno informati dello sforzesco Branda Castiglioni, che già nel gennaio del 1485 inoltrava al duca di Milano un significativo profilo di alcuni uomini di corte, colorito nella chiusa da vivaci metafore.]

Durante l’ultimo anno Antonello Petrucci ha avuto diversi screzi con alcuni membri della potente famiglia Carafa, in particolare con Diomede e Alberico.
Le cose per il segretario e i figli sono peggiorate dopo il
rientro a Napoli di Alfonso d’Aragona: «Lo signor duca de Calabria non li posseva vedere, et qualche volta prorumpeva in qualche parole minatorie contra loro».
Francesco Petrucci ha più volte esternato il cambiamento
di situazione e le difficoltà incontrate, tanto che, per tranquillizzare lui e la sua famiglia, nell’agosto del 1485 la corte aveva cercato di stabilire un’alleanza matrimoniale.
Lo sposalizio tra Giovanni Antonio Petrucci e Sveva Sanseverino – negli stessi giorni della sollevazione di Salerno – ha vanificato
il tentativo regio, che è riproposto esattamente un anno più tardi;
nell’evidente sforzo di tenere ben disposto il segretario fino al momento della cattura, che si sarebbe attuata qualche giorno dopo, il duca di Calabria si fece intermediario per una nuova unione Petrucci-Carafa. [vedi 3 marzo 1485]

Con l’arresto dei suoi uomini di corte, Ferrante ha disatteso
i contenuti della pace firmata a Roma e, giustiziando in modo drammatico i figli del segretario l’11 dicembre, ha sottolineato ulteriormente l’intenzione di non mantenere le promesse di un’amnistia generale e di perseguire piuttosto il suo piano di sottomissione della feudalità.
Da tutti gli altri baroni pretende che si rechino a Napoli per rendergli omaggio e ottenere il suo perdono.

a metà dicembre – mentre a Napoli si crede che, «per havere lo stato distante molti milia da qui, et munito de alcune galiarde roche», Antonello Sanseverino avrebbe giocato una partita estenuante –, vistosi progressivamente abbandonato da tutti gli alleati (in particolare dai principi di Bisignano e di Altamura), finisce per presentarsi egli stesso al re;
[Gli cederà Salerno e Rocca Cilento il 31 dello stesso mese e infine si sposterà a Roma, con licenza regia.
La motivazione addotta è quella di doversi assentare per breve tempo per provvedere ad alcune questioni personali (per risultare maggiormente credibile lascia nel regno la moglie e il figlio Roberto Sanseverino, di appena due anni); la vera intenzione è di riorganizzare le fila della congiura da fuori, con l’aiuto del pontefice, del cardinale di San Pietro in Vincoli e del duca di Lorena.]
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, a eccezione del principe di Salerno, tutti i baroni entrano solennemente a Napoli accompagnando il re.
Il corteo si apre con una «infinità» di cittadini, gentiluomini e baroni a cavallo, seguiti dagli oratori della lega (Branda Castiglioni, Battista Benededei e Bernardo Rucellai);
dietro di loro è il principe di Capua che avanza tra lo zio don Federico e il nipote del re, figlio del defunto don Enrico.
C’è quindi Ferrante, circondato dall’oratore spagnolo e dallo sforzesco Guidantonio Arcimboldi e, a chiudere la comitiva,
il principe di Bisignano, il duca di Amalfi, il marchese di Bitonto «et altri baroni, cum turba copiosa, quam facile non erat numerare».
Lo stesso giorno, mentre gli altri baroni entrano a Napoli col re,
Antonello Sanseverino annuncia che è sua intenzione recarsi a Roma per fare alcune rimostranze al papa e stabilire buoni rapporti con il card. Giuliano della Rovere: solo quando vi sarà giunto incolume, farà consegnare al re la rocca di Salerno. Ferrante, colta la banalità dei pretesti accampati, risponde che simili motivi non valgono il viaggio, e che il principe potrebbe diversamente mostrare la sua buona fede verso la corte.
25, Antonello Sanseverino giunge a Napoli il giorno di Natale, durante la messa solenne, ma gli oratori non lo vedono personalmente e, finita la celebrazione, egli «se miscolò cum gli altri». [segue 1487]



Tra settembre e dicembre i baroni sono stati costretti, poco per volta, a consegnare al re le fortezze. La Corona intende riprendere il controllo di alcune rocche strategiche e molto rilevanti dal punto di vista difensivo.
Alcune sono località litoranee, pericolose in vista di possibili sbarchi nemici; per un regno come quello aragonese, le migliaia di chilometri di costa da controllare sono infatti paragonabili a
un fianco scoperto. La convinzione di aver sedato la rivolta e piegato i ribelli ha infuso nuova forza alla corte, per modo che appare «più triumphale e gloriosa» di quanto non lo sia stata negli ultimi anni.

Giovanni della Rovere, duca di Sora e prefetto della Chiesa,
non si è presentato a Napoli, dove è stato convocato e dove si diceva che sarebbe stato catturato, cosa che invece accade al conte di Tendiglia, Inico Lopez de Mendoza, accusato di essersi appellato ai reali di Spagna.
Gli ultimi arrestati – insieme ad Aniello Arcamone col suo primogenito, a Giovanni Pou, e ai figli del conte di Sarno – sono tutti rinchiusi nelle stanze e prigioni di Castelnuovo, senza essere stati processati.
Il numero dei ribelli ancora in circolazione si va assottigliando di
giorno in giorno e quelli rimasti cominciano a considerare la fuga del principe di Salerno come un gesto da imitare.

Non ci riescono, non ne hanno il tempo o è la sorte a cospirare contro di loro?
In sostanza – come si vedrà più sotto – tutte e tre le ipotesi sono valide, anche se qualche anno dopo [7 luglio 1491] Giovanni Pontano dirà all’oratore fiorentino Piero Nasi:

«M’incresce ancora di questi poveri baroni, […] quanto si sono saputi male governare, et la sciocchezza et dappocaggine loro. Io voglio che voi sappiate che tanto pensava la maestà del re d’incarcerarli o levare loro gli stati, quanto alle cose che non furono mai, et con questo mezo tenerli in modo magri che non
potessino più darle de’ calci; et apresso tenere ne’ loro dominii qualche persona che vi si facessi iustitia, ché prima officiali della maestà del re non metteva pie’ nelli stati loro.
[…] Nondimeno non seppono mai pigliare partito di andarsi con Dio, et non è che la maestà del re li tenessi strecti o guardati».
P. Nasi a Lorenzo [il Magnifico], 7.VII.1491, Corrispondenza ambasciatori fiorentini, VI, n. 82, pp. 113-114.



Il sovrano in effetti è spesso lontano da Napoli, ma c’è da credere che si tenga ben informato sui movimenti dei baroni e che gli stessi, più che sciocchi, trovandosi ormai in pochi e con la minaccia incombente, siano piuttosto disorientati.
Alcuni tra i protagonisti minori si sono fatti promotori di iniziative personali prive di collegamento e di una solida base di appoggio, capaci solo di creare allarmismo presso la Corona.
[La corte riceve numerose segnalazioni poco rassicuranti di cui deve continuamente soppesare la veridicità:
. Restaino Cantelmo, conte di Popoli, risulta aver abbandonato le proprie terre aquilane e nessuno sa perché e dove si sia rifugiato;
. Pietro Lalle Camponeschi, conte di Montorio, suo suocero, è «molto sospeso»;
. Guglielmo Sanseverino, conte di Capaccio, è «entrato in qualche gelosia», mettendo in dubbio la fedeltà verso il re.]

I principali fomentatori pagano invece il prezzo di una eccessiva titubanza e lungaggine, come pure – ci torneremo più avanti – la sfortuna di veder cadere infermo il ‘patrono’ della nave che è stato pagato e mandato a Napoli per scortarli fuori dal regno.]

 

[Elisabetta Scarton, La congiura dei baroni del 1485-87 e la sorte dei ribelli. www.academia.edu
Periodo considerato: 1484-1495.]

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Agrippa di Nettesheim, Heinrich Cornelius o Cornelio Agrippa (Colonia 1486-Grenoble 1535), filosofo e scienziato tedesco, occultismo; 
De occulta philosophia
(1510, stampata solo nel 1531)
De incertitudine et vanitate scientiarum
(1527).

Delicado Francisco (Cordoba ?-Venezia 1534?) scrittore spagnolo
Lozana andaluza (1528, satira anticlericale).

Emiliani, Girolamo o Girolamo Miani (Venezia 1486-Somasca, Bergamo 1537) ecclesiastico italiano, fondatore dei "somaschi".

Granvelle, Nicolas Perrenot de (Ornans, Franca Contea 1486-Augusta 1550) politico francese, al servizio della Spagna;
[Padre di Antoine (1517-1586).]
1524, segretario di Margherita d'Austria, entra al servizio di Carlo V come capo del suo consiglio privato
1530, protetto e stimato dal marchese di Gattinara, alla sua morte gli succede nella direzione della cancelleria imperiale; da lui partono le direttive per la soluzione dei problemi dei Paesi Bassi, della Borgogna e di Germania, oltre che di Napoli e Sicilia quando è nominato anche guardasigilli di quei regni; preoccupato dell'unità dell'impero e fedele alla tradizione erasmiana, si adopera sempre per una soluzione conciliatrice tra cattolici e protestanti sia alle diete di Worms (1521) e di Ratisbona (1541), sia nelle prime fasi del concilio di Trento.

Maier, Johann o Eck Johann (Egg an der Günz, Svevia 1486-Ingolstadt 1543) teologo tedesco (difese, contro il divieto medievale del prestito ad interesse, un interesse che non oltrepassasse il 5%)
Obelisci (1517, contro M. Lutero)
De primatu Petri (1520)
De poenitentia (1522)
De purgatorio (1523)
De sacrificio (1524)
Enchiridion locorum communium adversus lutheranos (1525)
Ebbe parte rilevante nella Confutatio pontificia della Confessione di Augusta
De ratione studiorum (postuma, 1538, autobiografia).

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1486
Germania
Magonza, esce Peregrinationes in Terram Sanctam in cui sono stati incorporati gli schizzi dell'artista Erhard Reuwich (che ha accompagnato Bernhard von Breydenbach nel viaggio) e una buona carta della Palestina.
Nello stesso anno l'elettorato di Magonza e la città imperiale di Francoforte si accordano per l'istituzione in comune del primo ufficio laico di censura.
[In risposta però alla richiesta rivolta al consiglio municipale di Francoforte dall'arcivescovo Berthold von Henneberg.
Il primo editto emesso dal censore di Francoforte contro i libri a stampa mira tuttavia a sopprimere soprattutto le traduzioni della Bibbia nella lingua parlata. [D'altra parte i primi passi finora compiuti in questo senso dalla Curia romana sono stati diretti principalmente contro pubblicazioni eretiche e scismatiche, dimostrandosi essa invece ancora molto tollerante verso l'oscenità e la pornografia.]
Vengono pubblicate le novecento tesi di G. Pico della Mirandola: saranno condannate l'anno successivo.
«segue 1487»

Monte di Pietà di Vicenza

1486, per impulso del frate marchigiano Marco da Montegallo, (in precedenza il terreno era già stato preparato da fra Bernardino da Feltre) uno dei predicatori francescani dell'Osservanza che peregrinano senza sosta per le città italiane scagliandosi contro le multiformi usure, nasce questo Monte;
il pio istituto vicentino sorge come assolutamente gratuito, impiegando nei prestiti pignoratizi le somme ricevute in prestito oppure a titolo di donazione o di lascito;
«segue 1496»

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